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Partite IVA, la situazione italiana nell’anno della pandemia

Di recente sono stati pubblicati dall’Istat i dati sul mercato del lavoro in Italia relativi al quarto trimestre del 2020, oltre al resoconto dell’andamento annuale. In questo contenuto, dopo avere dato uno sguardo alla citata analisi, ci concentreremo sul report che riguarda i lavoratori autonomi reso noto, invece, a febbraio, dall’Osservatorio sulle partite iva.

Sommario

Il mercato del lavoro esaminato dall'istat

Il dato dell'andamento annuale

L’analisi delle partite iva nel quarto trimestre 2020

La sintesi dei dati delle partite iva nel 2020

La chiusura delle partite iva nel 2020

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Il mercato del lavoro esaminato dall’istat

L’analisi pubblicata il 12 marzo dall’Istituto Nazionale di Statistica mostra i dati del mercato del lavoro italiano relativamente al quarto trimestre 2020 e all’intero anno. Per quanto concerne il primo aspetto, ciò che l’Istat ha rilevato è che le misure di contenimento, adottate a causa dell’emergenza sanitaria, hanno avuto ancora un’importante influenza sugli esiti venuti fuori.

In particolare, rispetto al trimestre precedente è stata registrata una flessione nelle ore lavorate (-1,5%); un calo è stata annotato anche nel confronto con lo stesso periodo del 2019 (-7,5%). Una contrazione del PIL (prodotto interno lordo) è poi stata rilevata riguardo ai due intervalli temporali (-1,9% e del -6,6% rispettivamente). 

Nella comparazione con il trimestre precedente è stato invece evidenziato che è aumentato il numero di occupati (+0,2%). Le 54 mila unità occupate in più sono il risultato dell’incremento dei dipendenti a tempo indeterminato e della lieve crescita degli indipendenti. Allo stesso tempo, è stato registrato un calo del numero di disoccupati (-122 mila) più consistente rispetto a quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-10 mila).

Con riferimento allo stesso trimestre del 2019, invece, l’occupazione è diminuita (-414 mila unità, -1,8% rispetto al quarto trimestre 2019). Sono diminuiti soprattutto i dipendenti a termine (-383 mila, -12,3%), ma continuano a calare anche gli indipendenti (-129 mila, -2,4%). La riduzione interessa sia gli occupati a tempo pieno sia quelli a tempo parziale, tra i quali l’incidenza del part time involontario raggiunge il 65,2% (+1,3 punti). Al contrario vi è stato l’incremento dei dipendenti a tempo indeterminato: 98 mila unità (+0,7%).

Inoltre, rispetto al quarto trimestre 2019, i disoccupati sono in diminuzione: -172 mila. Il dato della percentuale negativa (-6,7%) riguarda sia i soggetti in cerca di una prima occupazione sia con precedenti esperienze lavorativa. È poi in aumento il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (+403 mila, +3,1% in un anno).

Il tasso di occupazione, pari al 58,2%, è cresciuto rispetto al terzo trimestre 2020(+0,3 punti). Tuttavia, il risultato è inferiore di -0,8 punti a quello registrato nel quarto trimestre 2019. In diminuzione anche il tasso di disoccupazione, al contrario quello di inattività tra i 15-64 anni è aumentato. 

Con le nuove misure restrittive adottate nel quarto trimestre 2020, vi è stato un rallentamento da parte delle attività economiche, che aveva contraddistinto il trimestre precedente. I dipendenti sia a tempo pieno che parziale hanno segnato, dunque, un +0,3%, ma un -1,7% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Vi è stato poi un incremento del ricorso alla cassa integrazione (92,5 ore ogni mille ore lavorate). Per lo più il costo del lavoro continua a registrare una lieve crescita (+0,5%), dovuta a un aumento dell’1,5% della componente retributiva e a una riduzione del 2,3% degli oneri. Quest’ultimo calo è il frutto dell’esonero dal versamento dei contributi implementato nella seconda metà del 2020.

Il dato dell’andamento annuale

In sintesi, la media del 2020 è il risultato delle dinamiche dei quattro trimestri del mercato del lavoro, influenzati diversamente dalla pandemia. Nel primo trimestre, infatti, è stata registrata una crescita dell’occupazione; nel secondo, invece, è stato annotato un calo consistente che è proseguito, anche se in maniera più contenuta, anche nel terzo e nel quarto trimestre. 

In generale, è stata rilevata una flessione dell’occupazione senza precedenti: 456 mila unità in meno (-2,0%). A ciò va aggiunta la riduzione della disoccupazione e l’importante aumento del numero di inattivi. 

Per quanto concerne l’impatto sui diversi settori, si è osservato maggiormente un decremento dei dipendenti (-1,7%) e del monte ore lavorate (-13,6%), così come l’aumento del ricorso alla Cig (+139,4 ore ogni mille lavorate), nel comparto dei servizi rispetto a quello dell’industria.

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L’analisi delle partite iva nel quarto trimestre 2020

A febbraio, è stato pubblicato dall’Osservatorio sulle partite iva il report sulla situazione del quarto trimestre 2020. Dai dati riportati, si evince che, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, vi è stata una flessione nell’apertura delle nuove attività (-6,1%). 

L’avviamento delle nuove 102.373 partite iva, è stato operato per il 64,5% da persone fisiche, per il 26% da società di capitali, per il restante 4,1% da società di persone. Ha quasi raddoppiato il numero degli avviamenti la quota dei “non residenti” che insieme ad “altre forme giuridiche” costituiscono il 5,5% del totale delle nuove aperture. Comunque, tutte le principali forme giuridiche hanno registrato dei cali rispetto al quarto trimestre del 2019. Per le persone fisiche è stato pari a -6,9%, mentre per le società di persone -14,1%.

A livello territoriale, invece, le nuove aperture hanno interessato maggiormente il Nord (44,8%), seguito dal Sud e dalle Isole (33,4%), e infine dal Centro (circa il 21%). Quasi tutti i territori hanno subito delle flessioni, nella comparazione con il medesimo periodo del 2019, soprattutto la Puglia (-21,2%) e le Marche (-18,8%). Un dato interessante e in controtendenza è quello che stato annotato in Veneto (+26,5%) e in misura leggera in Sicilia (+0,2%).

Per quanto concerne il settore produttivo, il maggior numero di avviamenti di partite iva si è prodotto dal commercio (il 23,5%), dalle attività professionali (12,9%) e dall’agricoltura (11,1%). Sono stati, poi, analizzati gli effetti dell’emergenza sanitaria rispetto al quarto trimestre del 2019, con risultati sia in senso negativo per alcuni settori: alloggio e ristorazione (-44,1%), attività di intrattenimento (-37,7%) e servizi vari (-31,2%) che in positivo: sanità (+73,4%), attività finanziarie (+14,4%) e servizi di comunicazione (+6%).

Per quanto riguarda le persone fisiche, il genere che si è dimostrato stabile nell’apertura delle partite iva è quello maschile: circa al 63%. Inoltre, ben il 48,3% delle nuove aperture è stato effettuato da giovani fino a 35 anni, mentre il 30% dalla fascia di soggetti che va dai 36 ai 50 anni. Nel confronto con il quarto trimestre del 2019, si evince che l’aumento delle aperture (+5,8%) ha interessato proprio i più giovani. La fascia più anziana, invece, ha registrato un notevole declino: -23,9%. 

Se poi si analizza il Paese di origine dei soggetti che hanno avviato nel corso del suddetto periodo un’attività, si evidenzia che per il 19,2% l’apertura è stata realizzata da stranieri. Il regime per lo più adottato dai soggetti è stato quello forfettario: 39.420 (il 38,5% del totale delle nuove aperture). Un decremento del 5,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La sintesi dei dati delle partite iva nel 2020

Rispetto al 2019, è stata annotata un importante calo nell’apertura delle nuove partite iva (-14,8%). Le circa 464.700 nuove attività, dunque, sarebbero l’effetto effetto dell’emergenza sanitaria scoppiata nel 2020 e ancora in corso.

Per quanto concerne la natura giuridica delle nuove partite iva, è stato registrato che il 72,2% dell’avviamento è stato operato da persone fisiche, il 21% da società di capitali e solo il 3,4% da società di persone. Rispetto all’anno precedente si è osservata una diffusa diminuzione delle aperture: società di persone (-19,5%), società di capitali (-16,3%), persone fisiche (-15,7%). 

L’incremento, invece, di partite iva avviate ha riguardato in particolare i soggetti non residenti (+42,9%). Un dato che è stato messo in correlazione con la crescita del settore delle vendite on-line e in netta tendenza con quella del 2019.

Dal punto di vista della distribuzione territoriale, circa il 44% delle nuove aperture è avvenuto al Nord, il 21,4% al Centro e il 34,1% al Sud e nelle Isole. Tutte le regioni hanno subito un calo negli avviamenti: in testa le Marche (-19%), seguite dalla Liguria (-18,7%) e dalla Toscana (-17,6%). Il decremento è stato più contenuto in Veneto (-5,3%).

Il settore produttivo che ha registrato il maggior numero di aperture di partite Iva (circa il 20% del totale) è stato quello del commercio, seguito dalle attività professionali (16,3%) e dall’agricoltura (10,8%). L’unico comparto, comparato al 2019, che è risultato in attivo è stato quello della sanità (+9,5%). Consistenti flessioni hanno colpito il settore dell’alloggio e della ristorazione (-34,1%), quello delle attività sportive e dell’intrattenimento (-33,5%) e della manifattura (-24%).

Il 62,7% delle aperture è stato realizzato da parte di soggetti di sesso maschile. Il 48% delle nuove partite iva è stato avviato da giovani fino a 35 anni ed il 31% da soggetti tra i 36 e i 50 anni. Sostanzialmente, dal confronto con il 2019, viene fuori una decrescita nel numero di aperture meno forte per la fascia dei giovani (-10%) più consistente (-25,3%) per quella più anziana. 

Inoltre, è stato rilevato che il 17,1% degli avvianti è nato all’estero. Nel 2020, poi, i soggetti che hanno aderito al regime forfetario sono stati 215.563, con un calo del 18% rispetto al 2019.

La chiusura delle partite iva nel 2020

Occorre fare un cenno anche ai dati delle chiusure di partita iva, dal momento che rispetto all’anno precedente, il 2020 è stato segnato da un evento eccezionale: la pandemia da Covid-19. Innanzitutto, va segnalato che da gennaio e dicembre 2020 risultano chiuse 320.435 partite iva. Nel 2019 erano state 427.623. 

Quindi, il dato del 2020 rispetto all’anno precedente è 100 mila chiusure in meno. Un risultato inatteso visto il grande periodo di incertezza economica. Sono dati, comunque, da interpretare con cautela, ha sottolineato il report l’osservatorio sulle partite iva. 

Sostanzialmente, sono tre motivi che stanno alla base di tale prudenza. Innanzitutto, il fatto che la cessazione dell’attività nel 2020 potrebbe essere comunicata dai contribuenti in maniera tardiva; seconda ipotesi, il dato del 2019 potrebbe includere le cessazioni d’ufficio effettuate dall’Agenzia delle Entrate per non-operatività; infine, la circostanza che l’obbligo di chiusura della partita Iva spesso non viene compiuta dal contribuente al momento della cessazione dell’attività.

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Autore: Michele (Partitaiva24.it)
Pubblicato il: 23/04/2021
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