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Riders, chi sono i figli della “GIG economy”

A metà settembre è stato siglato in Italia il primo accordo tra i riders e Assodelivery, l’associazione delle principali piattaforme online, che ha fatto sobbalzare i sindacati confederali. Ma chi sono i riders e quali sono le loro prospettive future?

Sommario

Il fenomeno della "GIG economy"

Il profilo dei riders

Il lavoro autonomo dei riders

Il caso Foodora

Contratto nazionale tra assodelivery e UG

La "big Idea" dell'INPS

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Il fenomeno della “GIG economy”

La crisi economica del 2008 ha messo in discussione il mondo del lavoro e, nello specifico, i modelli classici di contratto: indeterminato e determinato. In un contesto globalizzato, inoltre, il mercato del lavoro si è dovuto attrezzare per dare risposta alle esigenze delle sempre più numerose piattaforme di vendita online, il cui fatturato ha raggiunto a livello planetario cifre da capogiro: oltre 15 mila miliardi di dollari. Così, è stato inevitabile il conseguente sviluppo del settore della logistica che ha dovuto organizzarsi in maniera diversa rispetto al passato. 

In particolare, è stato il comparto della consegna a domicilio, cresciuto esponenzialmente, a dover predisporre una nuova modalità di lavoro. E, così, anche in Italia sono nati i lavoratori “on demand”, ovvero, su richiesta. La “Gig Economy”, l’economia delle piattaforme online, dunque, ha generato i lavoratori a chiamata, che svolgono per lo più attività temporanee. In Italia i gig-worker sono 700 mila (Fonte Fondazione De Benedetti). La Gig Economy, secondo alcuni studi, nel 2025 dovrebbe raggiungere un valore di 15 miliardi di euro circa.

Tra le internet company che agiscono da intermediari e stipulano accordi con suddetti profili, per fornire servizi o prodotti ai clienti, troviamo Amazon, Just Eat e Foodora, i cui profitti sono cresciuti anche grazie alle consegne effettuate dai fattorini che viaggiano sulle due ruote. Il business che ha sicuramente tratto maggiori guadagni in questo campo è stato quello del food delivery, la consegna a casa o in ufficio di cibo mediante gli ordini online. In questo sistema, hanno fatto strada i riders, i quali quotidianamente percorrono km in bicicletta per recapitare alimenti già pronti.

Il profilo dei riders

I riders, quindi, possono essere considerati i figli della “Gig Economy”. In Italia, sono 10 mila quelli impegnati nel food delivery. Si attesta tra il 7 e il 10 la percentuale di consegna a domicilio che transita sulle piattaforme digitali, mentre il sommerso arriva alla soglia del 90%. Ma chi sono i ciclo-lavoratori che scelgono tale compito? Certamente, per diventare rider una delle caratteristiche che si deve possedere è la disponibilità a svolgere un lavoro in maniera flessibile. Spesso, chi opta per questo genere di attività si dedica anche ad altre mansioni, oppure, lo considera un lavoro temporaneo. 

Il rider, dunque, riceve l’ordine di consegna mediante un’applicazione del cellulare, un device dell’azienda o semplicemente una chiamata. Dopo i dati raccolti dall’applicazione multimediale, che funge da vero intermediario tra committente e cliente, il rider organizza la sua corsa per prelevare e consegnare il prodotto, attraverso il mezzo che spesso, ma non sempre, gli fornisce l’azienda. Una responsabilità che gli viene affidata è, poi, quella del pagamento della merce. Dai riders vanno distinti leggermente i ciclo-fattorini, i quali si muovono sulle due ruote a motore. Entrambi, comunque, fanno parte del “personale viaggiante” e sono adibiti ad attività di logistica distributiva.

Il lavoro autonomo dei riders

Il Decreto Legge n. 101 del 3 settembre 2019 ha esteso alcune forme di tutela ai lavoratori autonomi e delle garanzie minime ai soggetti addetti all’attività di consegna di beni attraverso le piattaforme digitali. Poi, il Decreto Tutela Lavoro Legge 128/2019, che ha convertito il dl summenzionato, ha stabilito che vanno considerati riders i lavoratori impiegati in ambito urbano nelle attività di consegna di beni per conto di terzi. I riders per portare a termine la loro attività utilizzano veicoli a due ruote o assimilabili. Lavorano per mezzo di piattaforme digitali che, a seguito dell’ordinazione, determinano le caratteristiche della prestazione o del servizio da fornire stabilendone il prezzo. I riders si distinguono in parasubordinati e autonomi (con partita iva).

Ai riders parasubordinati (inseriti nell’etero-organizzazione) è applicata la disciplina del lavoro subordinato. Dunque, godono di tutti i diritti dei lavoratori dipendenti. Un’eccezione concerne la tutela dei licenziamenti dovuta al minore potere disciplinare e gerarchico attribuito al datore di lavoro. Invece, per l’orario lavoro, le ferie, la malattia, la sicurezza, previdenza, ecc., vengono seguite le norme dei lavoratori dipendenti. 

I riders autonomi lavorano in maniera autonoma e saltuaria. La loro retribuzione è calcolata in base alle consegne effettuate. Vi è anche la possibilità per la contrattazione collettiva di poter individuare minimi tabellari di una paga oraria minima per coloro che rispondono ad almeno una chiamata nell’ora di attesa. Detto importo, dunque, è aggiuntivo rispetto alla retribuzione erogata normalmente per le consegne effettuate. Il rider è quindi libero di accettare o rifiutare una consegna. Se la accetta e la porta a termine viene pagato, se la rifiuta non viene retribuito. La possibilità di rifiutare la prestazione di lavoro è la peculiarità legata al contratto di lavoro autonomo.

Il caso Foodora

Nel 2016, alcuni riders legati a Foodora (una piattaforma di consegna di cibo a domicilio) da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, si sono visti negare il rinnovo del rapporto di lavoro a seguito di scioperi che rivendicavano una migliore retribuzione. Così, cinque lavoratori si sono rivolti al tribunale per chiedere che venisse accertato il rapporto di subordinazione cui erano sostanzialmente soggetti e, dunque, l’illegittimità del licenziamento subito. Il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso, dunque, i lavoratori hanno proposto l’appello avverso tale decisione. Con sentenza dell’11 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Torino ha da un lato confermato l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, ma dall’altro ha accolto la richiesta dei lavoratori al pagamento a carico della piattaforma digitale delle differenze retributive, oltre accessori. Il 24 gennaio scorso, la Corte di Cassazione ha, in ultima istanza, rigettato il ricorso della Foodora contro il giudizio di secondo grado. 

Sostanzialmente la Cassazione ha precisato che per aversi una collaborazione coordinata e continuativa (non etero-organizzata) le modalità di coordinamento non devono essere imposte dal committente, ma possono essere scelte autonomamente dal collaboratore o concordate tra le parti, risultando così confermata la compatibilità tra l’autonomia organizzativa e il coordinamento. Dunque, per la Corte di Piazza Cavour a Roma, va riconosciuta la retribuzione del lavoro subordinato.

Contratto nazionale tra assodelivery e UG

L’Assodelivery, associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery a cui aderiscono Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats, e il sindacato Ugl (Unione Generale del Lavoro) hanno siglato un contratto collettivo nazionale del lavoro che, per la prima volta nella storia del Vecchio Continente, aumenta le tutele dei riders che operano come lavoratori autonomi nell’industria italiana del food delivery

Tra i punti previsti dal contratto vi sono: un compenso minimo di 10 euro all’ora effettuata, un incentivo orario di 7 euro in assenza di proposte di lavoro, un bonus di 600 euro ogni 2.000 consegne realizzate, dotazioni di sicurezza, formazione e coperture assicurative. In aggiunta al compenso minimo, poi, sarà dovuta un’indennità integrativa nel caso di prestazione di lavoro svolto di notte, durante le festività e in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Ai fini della sicurezza dei lavoratori, per evitare l’incentivo a correre rischi, è stato invece stabilito che il premio riconosciuto ai riders sarà limitato a 1.500 euro all’anno per singola piattaforma. 

La piattaforma, inoltre, si impegna a mettere a disposizione dei rider, a titolo gratuito, almeno un indumento ad alta visibilità e il casco per coloro che svolgono consegne con la propria bicicletta. Il rider ha diritto alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Per garantire un adeguato standard professionale, i riders potranno accedere a una attività specifica di formazione/informazione e/o aggiornamento professionale, che le piattaforme o le parti potranno mettere a disposizione. Non sono previste ferie a causa della natura autonoma del contratto.

Questo accordo raggiunto tra le piattaforme digitali e i riders, però, ha scatenato le ire di Cgil, Cisl e Uil. I sindacati confederali sostengono, infatti, la necessità dell’applicazione delle tutele previste dalla contrattazione collettiva nazionale della logistica e trasporto merci del 2018 per tutto il settore del food-delivery, quali: tredicesima mensilità, ferie pagate, malattia retribuita, maggiorazioni per lavoro notturno, domenicale e festivo. I punti principali delle loro rivendicazioni sono: l’inquadramento dei riders come lavoratori subordinati e la rappresentanza sindacale.

La “big Idea” dell’INPS

Nell’estate del 2019, l’INPS ha presentato un lavoro nel corso di un workshop di Design Thinking incentrato sull’approfondimento delle soluzioni, per i riders e per le Food Delivery Platform, che permettano l’accesso a un sistema assicurativo e previdenziale per migliorare quello che è stato definito “Ecosistema della Gig Economy”.

La “Big Idea” dell’INPS consiste nel prevedere un’unica piattaforma che consenta la registrazione di attori (lavoratori, datori e ristoranti), eventi e dati di processo. Ciò al fine di assicurare trasparenza, flessibilità e sicurezza sociale. In un registro digitale dovrebbero essere certificate le informazioni relative ai riders (corsi di formazioni, disponibilità orarie…) e quelle che concernono le politiche adottate dalle piattaforme verso i clienti e i ciclo-lavoratori.

Una smart bag dovrebbe tracciare, poi, l’attività di consegna, trasmettendo dati e informazioni in tempo reale (beni trasportati e rider). Il sistema, dunque, dovrebbe permettere di raccogliere informazioni che possono essere utilizzate dagli enti previdenziali per il monitoraggio delle condizioni di lavoro. Questa soluzione, secondo l’Inps, potrebbe essere estesa anche a piattaforme che offrono servizi di carattere temporaneo al di fuori del mercato del food.

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Autore: Michele (Partitaiva24.it)
Pubblicato il: 02/11/2020
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