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Quando la contabilità è inattendibile?

Può la contabilità diventare uno strumento di difesa contro Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza?

La contabilità ordinaria, per quanto più costosa e onerosa, oggi rappresenta uno strumento a difesa delle imprese contro le pretese del fisco.

Gli uffici non possono ignorare quanto risulta dalla contabilità ufficiale dell’azienda verificata tranne quando riescono a dimostrare la sua parziale o totale inattendibilità e passare quindi all’attacco.

Nel contenuto odierno vediamo le fattispecie di una contabilità inattendibile e delle drammatiche conseguenze di un accertamento induttivo (puro o meno) per l’imprenditore.

Sommario

Primi controlli per verificare se la contabilità è inattendibile

Contabilità inattendibile: non indicati i criteri di valutazione delle rimanenze

Contabilità inattendibile: non indicate le specifiche delle disponibilità liquide

Contabilità inattendibile: non registrati i prelevamenti e versamenti da parte dei soci

Contabilità inattendibile: omessa indicazione analitica dei crediti e dei debiti

Altri elementi che possono far scattare ipotesi di contabilità inattendibile

Conseguenze dovute a scritture contabili inattendibili

Cosa pensa la Cassazione dell'accertamento induttivo puro

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In sede di verifica fiscale, una delle prime cose che vengono attenzionate è la regolarità e completezza dell’apparato contabile; nello specifico vengono subito richiesti i libri, i registri e tutti quei documenti la cui tenuta e conservazione sono obbligatori per legge poiché previsti o dalla normativa fiscale o dalla normativa civilistica.

Avere i libri e i registri subito disponibili e consegnarli a vista ai funzionari di Agenzia delle Entrate o ai finanzieri, fa partire sicuramente con il piede giusto la verifica ispettiva ma non è garanzia assoluta di serenità per l’imprenditore e per il suo consulente.

La formale correttezza delle scritture contabili non salva infatti a prescindere da un possibile accertamento induttivo puro nel caso in cui, proprio a seguito di un esame analitico della contabilità, se ne accertasse la totale inattendibilità per le omissioni o anche solo per le false o inesatte indicazioni in esse contenute.

A mio parere quindi per un imprenditore, un professionista o un amministratore di una società è fondamentale prendere piena consapevolezza non soltanto di quali registri e libri la propria azienda deve tenere ma anche e soprattutto se il contenuto di essi può rendere del tutto o in parte inattendibile l’intera contabilità aziendale dato che sarà lui a pagarne le conseguenze.

Imprenditore avvisato, mezzo salvato!

Nel contenuto odierno parleremo essenzialmente di società di capitali o comunque di imprese in contabilità ordinaria, coloro i quali sostanzialmente redigono conto economico, stato patrimoniale e hanno obblighi di registrare oltre alle fatture anche incassi, pagamenti, crediti e debiti.

Nella prassi, salvo casi disperati, tutte le imprese possiedono i registri e i libri pronti da consegnare ai verificatori già quando questi accedono presso gli uffici aziendali o presso quelli del proprio consulente, ma oggi non è più possibile ignorare per chi ha una partita iva quali contestazioni potrebbero essere mosse dai verificatori in sede di verifica che potrebbero mandare tutto all’aria con ripercussioni drammatiche per l’imprenditore o per la società;

Non è assolutamente accettabile affidarsi in toto al proprio commercialista senza conoscere un minimo dei rischi, oneri e problematiche che si potrebbero verificare in caso di una contabilità tenuta in maniera superficiale, incompleta o con diverse inesattezze, più o meno gravi.

La completezza e correttezza dell’impianto contabile, di ogni soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili, consente infatti di evitare di essere assoggettati ad una ricostruzione reddituale fondata su calcoli presuntivi da parte dei funzionari, estremamente dannosa e pericolosa per i contribuenti. Sostanzialmente sarebbe folle farsi ricostruire il reddito a tavolino dai verificatori e doversi arrendere ancor prima di cominciare la guerra contro il fisco, sapendo già che poi anche la Cassazione ci darebbe torto.

Primi controlli per verificare se la contabilità è inattendibile

Da cosa partono i verificatori quando visionano la contabilità di un contribuente? Non c’è una check list ben precisa con un ordine da rispettare, ma sicuramente ci sono situazioni che innescano già un “presagio” di contabilità inattendibile a prima vista.

Ad esempio: la cassa negativa, i ripetuti prelievi del titolare (che possono far presumere costi in nero) oppure la totale assenza di prelevamenti (che lascia supporre l’utilizzo di somme incassate in nero), l’anomalo andamento delle rimanenze o il loro immobilismo negli anni sono soltanto alcuni degli elementi che possono indurre i verificatori a ritenere inattendibile l’impianto contabile.

Tra l’altro un magazzino contabile superiore a quello reale comporta non soltanto la presunzione di cessioni in nero, ma impatta anche sull’iva, sugli incassi e sui crediti facendo diventare tutte queste voci contabili non veritiere e quindi rendendo inattendibili le scritture contabili nella loro interezza.

Le casistiche più diffuse e più riscontrate nella vita di tutti i giorni, che possono portare all’inattendibilità contabile e a conseguenze drammatiche per il contribuente, sono cinque:

  1. Omessa indicazione dei criteri di valutazione delle rimanenze
  2. Omessa indicazione specifica delle disponibilità liquide (cassa, conti correnti, ecc)
  3. Omessa contabilizzazione dei prelevamenti e versamenti da parte dei soci/titolare
  4. Omessa indicazione analitica dei crediti e dei debiti
  5. Omessa indicazione di Beni strumentali / Lavoratori impiegati in nero

Analizziamo in dettaglio queste cinque casistiche ben consapevoli che le prime quattro rappresentano gravi irregolarità mentre al punto 5 ci soffermeremo sulle contraddizioni gravi che fanno presumere evasione.

Contabilità inattendibile: non indicati i criteri di valutazione delle rimanenze

L’insufficienza delle informazioni relative alla valutazione delle rimanenze, sia con riferimento agli “inventari” che rispetto al contenuto della nota integrativa al bilancio è sicuramente un problema frequente. Di natura civilistica certamente, ma pur sempre un problema che ne può portare di altri. Nelle società di capitali, ad esempio per le SRL, una norma specifica (art. 2427 del codice civile) impone che la nota integrativa, in termini di contenuto, deve riportare l’indicazione dei criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, tra cui ovviamente risultano anche le rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti.

I soggetti che invece non sono società di capitali, pensiamo alle SNC e alle SAS per esempio, sono obbligati dall’art. 2217 del codice civile a tenere l’inventario che riporti espressamente “indicazione e valutazione” di tutte le attività e passività; stiamo parlando di un’analisi specifica e analitica per ciascuna singola voce.

Sul fronte fiscale, l’art. 15 del DPR 600/1973, aggiunge poi ulteriori adempimenti nel come riportare e descrivere questi dati. La norma prevede infatti che l’inventario, oltre a tutti quei dati ed informazioni prescritte dalle norme civilistiche, debba riportare anche la consistenza delle rimanenze raggruppate in categorie omogenee per natura e valore e infine il valore attribuito a ciascun gruppo.

Se tali aspetti possono sembrare a prima vista un po’ “esagerati” purtroppo per la Cassazione invece sono dovuti e non è ammessa alcuna tolleranza dato che ha sostenuto più volte che qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione del DPR  600/1973, art. 15, c. 2, si verrebbe essenzialmente a determinare un ostacolo nell’analisi contabile del fisco così grave che viene consentito ai verificatori di dedurre l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano purtroppo anche l’accertamento induttivo puro, ossia una vera catastrofe per l’imprenditore, oltre al ricorso alle presunzioni cc. dd. supersemplici, ossia quelle prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Tutti questi rischi e pericoli per non aver correttamente gestito in maniera precisa e puntuale l’inventario e la catalogazione delle rimanenze applicando i principi sopra esposti oggettivamente è inaccettabile dato che lo sforzo e il lavoro da fare è ben poca cosa rispetto ai rischi potenziali.

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Contabilità inattendibile: non indicate le specifiche delle disponibilità liquide

Secondo caso: la carenza di informazioni dettagliate sulla corretta quantificazione delle disponibilità liquide può aggiungere elementi di conferma di inattendibilità generale se il quadro che i verificatori stanno ipotizzando sta già prendendo questa piega.

Capita nella prassi, oggi sicuramente molto raramente rispetto al passato, che non siano stati istituiti i conti relativi a ciascun deposito bancario, postale oltre che al denaro “cash” presente in cassa o, come capita invece più frequentemente, che non si siano creati tanti sottoconti intestati per ciascuna banca, conto, carta, ecc. Annotare in maniera così precisa e analitica la movimentazione finanziaria di ciascun conto, consente un migliore, più veloce e più semplice controllo di gestione non solo interno (per il commercialista o per l’amministrativo dell’azienda) ma anche per i verificatori. Se è tutto chiaro e ordinato anche i verificatori possono impiegare meno tempo nei controlli e concludere quindi la verifica prima.

Contabilità inattendibile: non registrati i prelevamenti e versamenti da parte dei soci

Terza casistica: ci riferiamo per lo più a quanto accadde, purtroppo spessissimo, nelle ditte individuali e nelle società di persone, dato che per le società di capitali prelevamenti e versamenti da parte dei soci, non possono essere effettuati alla leggera specie in mancanza della adozione di formalità piuttosto rigorose.

Le ragioni, che porterebbero alla presunta inattendibilità contabile, si potrebbero fondare sul fatto che i prelievi da parte del titolare o dei soci rappresentano la liquidità effettiva e reale dell’impresa che se paragonata poi agli utili effettivamente presenti in bilancio, porterebbe ad una presunzione per l’accertamento di maggiori redditi qualora il quantum prelevato ad esempio fosse decisamente elevato rispetto ai “guadagni” dichiarati in contabilità e nelle relative dichiarazioni dei redditi.

“Rogne” similari poi anche per i versamenti da parte di soci e titolare di ditta individuale; come da risultanze giurisprudenziali sono considerati sostanzialmente come un reimpiego nell’impresa del nero fatto nel tempo dall’azienda stessa. Per i verificatori “più aggressivi” versare continuamente cash nei conti correnti aziendali potrebbe essere vista come un’introduzione in azienda di somme frutto di vendite in nero o fondi di dubbia provenienza se le cifre depositate si discostano, e di molto, dall’incasso per contanti di fatture di vendita dichiarate in contabilità.

Ovviamente in questi casi l’inattendibilità deriva proprio da questi contenuti indiziari che vedono prelievi e versamenti da parte dei soci come ricavi in nero mai dichiarati e che l’imprenditore vuole riutilizzare in azienda.

Contabilità inattendibile: omessa indicazione analitica dei crediti e dei debiti

Su questo fronte è bene partire dal distinguere subito le tipologie di crediti e debiti, suddividendo questi per natura: commerciali e non commerciali.

Nella prassi, quando ci riferiamo a vendita di beni o prestazioni di servizi, si procede alla apertura di partite contabili nominative riferibili ai clienti di riferimento, mentre dall’altro lato, a seguito dell’acquisizione di beni e servizi, si procede con l’apertura di conti nominativi, che vengono accesi ai singoli fornitori. Ogni cliente ha quindi un mastrino, ogni fornitore idem.

Per le restanti tipologie di crediti e debiti, ovvero quelli di natura non commerciale, normalmente vengono aperte delle singole partite contabili, non tanto con attinenza al soggetto cui le eventuali operazioni si riferiscono, ma tenendo in considerazione la funzione della natura del credito o del debito.

A fine esercizio quindi ciascun conto di credito o debito non nominativo dovrà riportare in ogni caso un riporto analitico di ogni singola voce, ovverosia anche ogni importo che sia riferibile a ciascun debitore o creditore. Per esser chiari e precisi però non si potrà procedere alla evidenziazione di irregolarità per carenza di dati, nel caso in cui pur in assenza del riporto dei conti nominativi, si può comunque rilevare dalle scritture ausiliarie il nominativo dei creditori e dei debitori e dei relativi importi.

Altri elementi che possono far scattare ipotesi di contabilità inattendibile

Un’altra evenienza che può condurre alla deduzione di gravi contraddizioni su riferisce alla mancata indicazione in contabilità dei cespiti di pertinenza dell’impresa, ovvero tutti quei beni strumentali utilizzati dall’impresa quotidianamente per svolgere le proprie attività, che sono stati “visti” durante l’accesso. Non ci riferiamo di certo a beni a noleggio, in leasing o in comodato (che non sono quindi di proprietà dell’azienda) sui quali basta mostrare i relativi contratti e fatture per chiudere subito eventuali osservazioni da parte dei verificatori.

Infine, spendiamo anche due parole su eventuali lavoratori in nero trovati all’interno dei locali aziendali da parte di agenzia delle entrate o della guardia di finanza. Si tratta di un fattore di spesa estremamente importante in quanto estremamente indicativo rispetto alla produttività dichiarata dall’impresa stessa. La manifestazione di potenzialità produttiva, scaturente dall’impiego di personale ed il mancato riporto nelle scritture di tale impiego, non può che fornire un valido indizio relativo alla infedeltà ed inattendibilità contabile che, se vagliata insieme ad altri presupposti, può certamente e validamente condurre ad un accertamento di carattere presuntivo.

Conseguenze dovute a scritture contabili inattendibili

Ai fini delle imposte sui redditi, IRPEF per le persone fisiche e IRES per le società di capitali, Agenzia delle Entrate può procedere a rettificare il reddito d’impresa con il cosiddetto “accertamento analitico induttivo” sulla base di presunzioni semplici caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. Sostanzialmente i verificatori rilevano dell’imponibile non dichiarato (i cosiddetti ricavi in nero) oppure dei costi indeducibili aumentando quinti l’utile e il reddito e di conseguenza le imposte da pagare. Per maggiori dettagli basta visionare l’art.39, co.1, lettera d, del DPR 600/1973. Il secondo e più pericoloso tipo di accertamento però è l’accertamento induttivo puro basato questa volta su gravi, numerose e ripetute omissioni, false o inesatte indicazioni, irregolarità formali che rendono inattendibili, nel loro complesso, le scritture contabili. Di conseguenza, l’Ufficio può determinare il reddito d’impresa anche seguendo un procedimento completamente empirico, sulla base dei dati e delle informazioni comunque raccolti con la facoltà di prescindere in tutto o in parte da quanto risulta in bilancio e in contabilità.

Cosa pensa la Cassazione dell’accertamento induttivo puro

Le pronunce della Corte negli ultimi anni sono quasi tutte a favore di Agenzia delle Entrate e sostanzialmente possiamo sintetizzare il pensiero della Cassazione con un estratto di una ordinanza qualsiasi.

«La formale correttezza» delle scritture contabili non è ostativa ad un accertamento induttivo puro nel caso in cui, proprio a seguito di un loro esame analitico, se ne accerti la totale inattendibilità per le omissioni o anche solo per le false od inesatte indicazioni in esse contenute, che evidentemente quell’analisi presuppone. Inattendibilità che nel caso di specie risulta essere stata desunta non soltanto dall’antieconomicità della gestione, ma anche dalle «incongruenze inventariali».

Come indicato dal ministero delle Finanze “il metodo induttivo è costituito da un procedimento logico diretto a costruire l’imponibile globale senza analizzarne le singole parti semplici, bensì impiegando nella costruzione tutte le notizie, le prove e i dati, anche soltanto extracontabili, comunque raccolti” (circolare ministeriale n. 29 del 23 maggio 1978).

Il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico-induttivo e quello con metodo induttivo puro risiede rispettivamente, nella parziale o nell’assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili.

Nel primo caso, “l’incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’articolo 2729 del codice civile;

Nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili apparentemente regolari.

In tale ultima ipotesi l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base a indizi, anche se non idonei ad assurgere a prova presuntiva ai sensi degli articoli 2727 e 2729 del codice civile.

In conclusione, possiamo quindi sintetizzare che la regolarità formale della contabilità potrebbe comunque sfociare in un possibile accertamento induttivo puro a condizione che l’ufficio dimostri la complessiva inattendibilità dell’assetto contabile desunta da gravi, numerose e ripetute omissioni e false indicazioni relative agli elementi indicati in dichiarazione e risultanti dal verbale di ispezione.

Per la Cassazione la sussistenza di omissioni o anche di false o inesatte indicazioni della contabilità può tranquillamente essere tratta dalle “incongruenze inventariali” oltre che dall’antieconomicità della gestione societaria, per cui sia “forma” che “sostanza” oggigiorno non possono essere più trascurate o ritenute “esagerate”.

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Autore: Roberto Scurto
Pubblicato il: 26/01/2024
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